Romania: le vecchie contraddizioni del nuovo Occidente.


Romania

le vecchie contraddizioni del nuovo Occidente

“Un viaggio tra diffidenza e pregiudizi”


“Il cimitero Allegro”
Solo in questo sperduto angolo di mondo poteva nascere Ion Patras, un contadino che, una sessantina di anni fa, decise di sfidare la morte creando il Cimitrul Vesel, l’allegro cimitero.
Comincio’ ad intagliare croci e lapidi, scolpendo scene in bassorilievo dipinte di colori vivaci e raccontando con semplici rime, spesso spiritose, le vicende terrene di chi veniva sepolto.

“Io riposo qui e mi chiamo Braieu Toader.
Finché’ ero vivo molte cose mi piacevano.
Bere, mangiar bene e andar a donne.
Ho amato molto la vita finché’ ho potuto baciare.
Quando sono invecchiato, tutti mi hanno odiato.
Ho lasciato la vita a 73 anni”

“Il mio destino fu di morire sposa promessa
sono morta a causa di un motore.
Vicino al villaggio di Sarasau
un guidatore crudele mi lasciato al suolo”.

Entrando nel cimitero, la prima impressione e’ che il vecchio Ion sia riuscito nel suo intento: prendere in giro la morte. I colori sono sgargianti. L’effetto d’insieme e’ di una tranquillità’ allegra.
Ma se ci si sofferma a leggere le lapidi , a volte basta guardare i bassorilievi per capire, l’effetto e’ esattamente l’opposto.
Non e’ la morte ad uscire malconcia da questo cimitero, ma e’ la vita.
In poche righe, in una sola immagine, viene raccontata l’intera esistenza di una persona.
In una buona parte dei casi si tratta di vite grame, trascinate inutilmente per anni e fermate da incidente, una malattia o un suicidio.
Come in una grottesca “Antologia di Spoon River”, i morti gridano che avrebbero voluto una vita migliore, ma non sono riusciti ad averla.
Forse, pero’, e’ proprio questo il messaggio dell’artista contadino, ideatore del cimitero:
“La morte in fondo non e’ così brutta.
La vita sì che dovrebbe farci paura!”

Tra i monti della Transilvania si adagiano villaggi rurali pittoreschi, lontanissimi dalla “civiltà” urbana, in cui si conserva ancora intatta la freschezza delle tradizioni popolari.
La maggior parte del territorio romeno, infatti, è rimasto indenne alle conseguenze della massiccia industrializzazione condotta in epoca comunista e ha conservato scenari agresti e tipologie abitative che ricordano i tempi passati.
Ancora si possono trovare antiche abitazioni con portici in legno scolpito, vecchi pozzi con bilanciere, mulini a pale, carretti trainati da cavalli che trottano lungo le strade, contadini che tagliano l’erba con la falce, anziane signore che filano la lana davanti alla porta di casa, paesani che in occasione delle varie feste sfoggiano i loro abiti tradizionali.
Non da meno è il delta del Danubio che, guardato dalle colline della città di Tulcea, sembra una vasta distesa di verde attraversata di nastri argentati. Abitat naturale per più di 1200 specie di piante, con la più ricca fauna ornitologica, più di 300 specie tra cui tante specie di pellicani, e ittica, più di 100 specie tra cui l’aringa del Danubio e gli sturioni, ancora oggi è considerato la più grande riserva della biosfera dell’Europa.
Non si può non rimanere incantati da Sighişoara, o dalle chiese lignee di Maramuresc o dai monasteri dipinti della Bucovina, ma nulla come “il cimitero allegro di Sapanta” riesce a rappresentare e racchiudere in sè la Romania e la sua gente.

Città senz’anima e campagne di terra e fango.
Trentenni dal futuro ricco di opportunità e cinquantenni senza un briciolo di speranza.

Welcome to Europe, terra che fu di Ceausescu, quello fucilato in Eurovisione insieme con la moglie Elena.
Il dittatore che in vent’anni è riuscito a trasformare la “Parigi dell’Est” in uno sterminato quartiere popolare fatto di cemento armato a forma di palazzoni e strade a quattro corsie che corrono verso l’ignoto.

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